IL “DOPPIO STANDAR”, NATURA DELL’UNIPOLARISMO

di Simone Boscali

Quando si parla di doppio standard si indica quel modo disonesto di giudicare due fatti analoghi per cui lo stesso gesto, compiuto da due soggetti, viene considerato in modo diverso a seconda della simpatia o vicinanza che nutriamo o non nutriamo per loro.
A livello di politica internazionale l’Occidente costituisce il più spudorato applicatore del doppio standard nel giudicare gli accadimenti globali e nel prendere le misure conseguenti, per cui, banalmente, mentre le guerre altrui sono sempre “aggressioni” le proprie sono “operazioni umanitarie” e via discorrendo.
Ma due esempi di questi ultimi giorni possono darci un’idea esaustiva dei livelli ormai grotteschi di arroganza e schizofrenia (non c’è altro termine per definire queste ambiguità) da parte dell’Occidente e ci fanno capire una volta di più perché questi episodi siano ad esso strutturali.
Il 24 novembre scorso un cacciabombardiere russo impegnato nella lotta al terrorismo in Siria è stato abbattuto da un jet turco quasi certamente senza aver violato lo spazio aereo di Ankara o, nella peggiore delle ipotesi, violandolo solo per pochi secondi e senza costituire una minaccia. Contro ogni legalità e persino contro le stesse procedure dell’alleanza di cui fa parte (la Nato) la Turchia ha abbattuto l’aereo provocando indirettamente la morte di uno dei due piloti e in seguito di uno sei militari mandati in soccorso.
A fronte di questo episodio la diplomazia americana ha sottolineato il diritto della Turchia di difendersi, dissimulando il fatto che non c’era nulla da cui difendersi, che l’alleanza egemonizzata da Washington prevedere regole di ingaggio molto diverse e che lo sconfinamento del velivolo russo resta tutto da dimostrare. L’Europa olografica invece ha solo aggiunto un assordante silenzio, non avendo l’autorità per esprimersi in nessun modo sulla questione, limitandosi a ribadire una supposta negatività dell’intervento russo in Siria.
A inizio dicembre invece oltre un centinaio di soldati turchi con svariati mezzi e carri armati sono entrati in territorio irakeno, nella regione autonoma del Kurdistan. In questo caso lo sconfinamento non solo non è dissimulato, ma è dichiarato e rivendicato da Ankara col pretesto di addestrare milizie curde contro l’Isis. Vi sarebbe molto da riflettere sul fatto che proprio dei curdi, storici nemici della Turchia, beneficerebbero di sostegno militare soprattutto dopo che la Turchia stessa non si è fatta problemi a lasciare i curdi siriani di Kobane da soli alle prese con i takfiri. Ma il punto più evidente è che un paese non autorizzato ha violato, in modo unilaterale, la sovranità territoriale di un altro stato, l’Iraq. Tutto ciò che Ankara ha potuto portare a difesa della propria azione, oltre al già citato addestramento per i curdi, è il consenso del governo della regione autonoma in cui i propri militari sono penetrati. Un po’ come se forze armate austriache entrassero a Bolzano dicendo di avere il consenso della regione a statuto speciale Trentino – Alto Adige. Il debole Iraq sta protestando a livello internazionale ma nemmeno le decantate Nazioni Unite sembrano capaci di accogliere queste rimostranze mentre gli USA non dimostrano nel criticare la Turchia la stessa solerzia vista quando c’è stata da difenderla ingiustamente. L’Europa, ancora un volta, è olografica, mentre ogni nostalgia su come l’Iraq dei tempi andati avrebbe reagito a un’invasione turca non fa che aumentare i nostri rancori.
Sarebbe interessantissimo approfondire il perché di questi doppiopesismi nei due casi specifici, che in realtà costituiscono un caso unico, ma è sul metodo che si vuole qui ragionare più che sul merito.
Il doppiopesismo, il doppio standard appunto, applicato dagli occidentali in queste due vicende così strettamente connesse l’una all’altra oltre che grottesco ha qualcosa di esasperante. Un’esasperazione che, in un osservatore di Coscienza, nasce dall’impossibilità a comprendere come questo modo di affrontare la realtà possa passare inosservato ai più. Ma anche dalla consapevolezza che il doppio standard è tipico di un male che oggi attanaglia il mondo: l’unipolarismo, la soggezione della quasi totalità del pianeta a un’unica superpotenza che agisce perseguendo il male.
In questo contesto la superpotenza dominante sa di non avere avversari che nell’immediato possano metterne in discussione il ruolo e sa anche di avere un dominio incomparabile sulla comunicazione mediatica. Pertanto essa ha il potere di plasmare la realtà imponendo i propri punti di vista e le proprie versioni senza preoccuparsi della loro effettiva lontananza dalla realtà. Un’ingiustizia è tale solo se a commetterla è un antagonista, ma se è un alleato o la superpotenza stessa allora è un atto giustificato.
Un mondo multipolare oppone invece a una maggioranza egemonizzata da un solo gendarme, una varietà di blocchi di nazioni e alleanze molto più livellati al proprio interno e senza quell’oppressione che è tipica dei dominanti sui dominati nell’unipolarismo. E l’allargarsi del numero di attori protagonisti porta, in un modo che potremmo dire inversamente proporzionale, a uniformare i criteri di giudizio proprio perché la credibilità dei soggetti dovrà essere oggettiva e non sarà più legata alla propria capacità di manipolazione.
Unipolarismo vuol dire dunque, strutturalmente, doppio standard.
In altre parole, menzogna che si fa sistema affinché il sistema riproduca se stesso.

 

VLADIMIR PUTIN E L’EURASIA SECONDO LA NOSTRA VISIONE

di Simone Boscali

“In seguito all’assorbimento dell’Europa da parte della Russia, e dell’Impero Britannico da parte degli Stati Uniti, erano già nate due delle tre potenze oggi esistenti” [George Orwell, 1984]

Rispetto a quanto già espresso in questo spazio negli anni e ancora di più nelle settimane scorse ciò che verrà detto in questo articolo potrebbe sembrare in controtendenza. Nello specifico, se sino a qui Caposaldo ha di fatto salutato con favore l’opposizione che la Federazione Russa ha esercitato tatticamente nei confronti del sistema a guida occidentale, qui vogliamo invece ribadire che, essendo il nostro primo interesse il recupero delle sovranità in Italia e in Europa, è nostro preciso compito fissare con molta attenzione il nostro sguardo sull’importante ruolo di contrasto che la Russia esercita contro i Nemici dell’umanità, ma, con la coda dell’occhio, verificare che questi ultimi non abbiano già iniziato ad addomesticare l’orso russo per farne un nuovo gendarme a servizio del sistema.

Per quanto si è visto sino ad oggi abbiamo ragione di ritenere che la Russia sia un paese con altissimo livello di sovranità e che l’attuale presidente, Vladimir Vladimirovic Putin, sia un personaggio slegato dalle oligarchie che, con discrezione o con segretezza, manipolano le grandi dinamiche mondiali. Questo non significa necessariamente che la Russia e Putin costituiscano per noi degli esempi in fatto di programmazione politica e men che meno di anticapitalismo. Ci limitiamo a prendere atto, ed è una presa d’atto comunque importantissima, che Putin senza necessariamente essere “Uno dei nostri”, non è “uno dei loro” e la Russia che governa di conseguenza non sottosta a certe agende esterne.

Ecco quindi che la politica estera di Mosca presenta ampi tratti di sovranità ostile ai paesi sottomessi alle élite, vedasi la difesa delle regioni russofone del Donbass e soprattutto il deciso intervento militare in Siria a difesa dello stato legittimo e contro i miliziani dell’Isis sostenuti da USA ed Europa.

Ma se la Russia di Putin costituisce tatticamente un momento affidabile di opposizione al sistema, non possiamo escludere che le oligarchie globali, non riuscendo a domare nell’immediato il grande orso, non stiano pensando a imbrigliarlo in futuro, magari nel dopo-Putin, vanificando gli sforzi antimondialisti di questo e piegandoli anzi ai propri disegni futuri.

Non possiamo infatti ignorare, da osservatori dediti a cogliere le sfumature, che l’ascesa del presidente russo come salvatore di una Europa liberata dagli USA sembra rispecchiare un copione preparato da altri. La clamorosa incapacità di Obama su ogni singolo fronte non fa altro che esaltare ancora di più le oggettive capacità di Putin a livello internazionale. Analogamente le presunte azioni militari di USA ed Europa contro l’Isis quando l’opinione pubblica in realtà sa già benissimo che proprio americani ed europei ne sono i protettori, elevano il presidente russo addirittura alla posizione di “uomo della provvidenza” nel momento in cui la Russia, mai coinvolta nel sostegno al terrorismo, attacca militarmente con successo i terroristi.

Questo non significa che Vladimir Putin stia recitando un copione. Provenendo anzi da una formazione di sinceri patrioti, le sue azioni si inquadrano proprio in un agire alla ricerca della sovranità completa in opposizione a inquietanti oligarchie mondiali che ancora non ha la forza di combattere apertamente. Tuttavia queste stesse oligarchie, agendo fuori dalla sfera di controllo di Putin, e quindi fuori dalla Russia, possono piegarne a proprio futuro vantaggio le azioni facendolo appunto apparire in qualche modo gradito e lasciando al suo paese crescenti quote di potere regionale e continentale per poi travasarvi, quando Putin non sarà più, il potere politico ed economico ora stanziato in Occidente.

Destano sospetti in questo senso anche alcune manovre e pensieri economici occidentali apparentemente in contraddizione proprio con l’Occidente stesso. L’eurasiatismo è una dottrina geopolitica nata in antagonismo all’Occidente a guida americana ma nel tempo sono molti i soggetti occidentali che, non avendo patria o radici, si sono proposti di riciclarne l’idea proprio per riprodurre in Eurasia i meccanismi di dominio tipicamente capitalisti una volta che il potenziale americano si fosse esaurito (così come a suo tempo il testimone del comando venne trasferito dalla Gran Bretagna all’America). Ed ecco che tali soggetti possono quindi permettersi di lasciar fare in qualche misura i veri eurasiatisti per poi inquinarne i risultati con propri, indesiderati contributi. Oltre a preparare la strumentalizzazione futura della Russia di Putin in politica estera, quindi, le oligarchie già infiltrano le istituzioni eurasiatiche per esempio con la clamorosa adesione del capitale britannico alla Banca Asiatica degli Investimenti Infrastrutturali, che “rischia” di trascinare con sé anche Italia, Francia e Germania. A ciò si aggiungano le antiche “simpatie” dell’occidentalista Romano Prodi (uomo dell’oligarchia ad alti livelli) per la Cina, simpatie che perdurano ancora oggi e che si sono estese da qualche tempo alla Russia stessa.

Quindi, se possiamo nutrire una discreta fiducia nella Russia attuale come sincero nemico dei nostri Nemici, non possiamo permetterci di cadere ai suoi piedi come fosse la salvatrice dell’umanità perché oscure trame sono già in moto nel tentativo di convertire Mosca da baluardo contro il nuovo ordine capitalista a capitale di quello stesso ordine, o, come minimo, per trascinarla in una sorta di condominio dei dominanti formato da Usa, Russia e Cina.

Se la nostra associazione può dirsi eurasiatista occorre sottolineare che per noi l’Eurasia è la nostra versione della “Patria Granda” del comandante Ernesto Guevara, l’Eurasia dei Dugin e dei Terracciano.

Non certo l’Eurasia di George Orwell.

Ai veri rivoluzionari l’arduo compito di sorvegliare e anticipare le mosse del sistema.

LO SCENARIO STRATEGICO DELLA REGIONE TURCO-SIRIANA ALLA LUCE DELL’ABBATTIMENTO DEL SU-24 RUSSO

di Alberto Nicoletta

L’ abbattimento del velivolo militare russo, il 24 novembre 2015, da parte dell’ aviazione militare turca ha creato uno squarcio tra le due nazioni, in quelli che erano rapporti già vacillanti, soprattutto dopo l’annullamento del progetto di un nuovo gasdotto denominato Turkish-Stream.

Il Sukhoi russo al momento dell’abbattimento stava bombardando una serie di camion-cisterna diretti in Turchia, il colonnello Aleksandr Zhilin dice che tale traffico sarebbe gestito dallo SIIL su ordine della C.I.A., ed è proprio grazie a tale commercio di petrolio verso la Turchia e verso gli U.S.A. che l’ ISIS si finanzia, senza creare nuovi pozzi, ma prosciugando quelli già esistenti.

L’ intervento militare russo vicino ai confini turchi nella regione di Latakia è pertanto rivolto a bloccare tale commercio clandestino che rappresenterebbe una manna per l’ élite politica turca; ed è anche rivolto a bloccare l’ appoggio logistico che la Turchia volge all’ ISIS.

Boris Dolgov professore del Centro Studi Arabi dell’Istituto di Studi Orientali afferma alla testata “RIA Novosti”: “La Turchia ottiene dividendi dal business sporco di sangue, che coinvolge i fondamentalisti che si impadroniscono del petrolio e dei reperti storici che poi rivendono attraverso la Turchia” .

Tutto ciò ci fa pensare che l’ abbattimento del Su-24M sia stato premeditato, in effetti la Turchia aveva rivolto a Mosca una protesta per gli attacchi aerei russi sulle terre tradizionali della comunità turkmena; questo perché la Turchia vuole liberare il tratto a nord della Siria (storica regione di interesse turco) da presenze a Lei scomode. Un’area che andrebbe da Jarabulus ad Afrin e Dana (ed oltre) finalizzata ad avere un canale sicuro per l’ appoggio all’ISIS al fine di far crollare il Governo di Damasco; ciò è l’ esatto opposto della strategia russa volta a sostenere  Bashar al-Assad e riportare i confini siriani a prima della guerra, creando una situazione di stabilità tale da permetterle la presenza nell’unica roccaforte di cui dispone nel Vicino Oriente.

Per finalizzare tale strategia, Putin ha fatto dispiegare l’incrociatore lanciamissili Moskva (nome NATO carrier-killer) in difesa della città costiera di Latakia (a ridosso del porto Tartus); con i sui 64 vettori terra-aria S-300 PMU-1/2 di ultima generazione in grado di abbattere sia caccia che missili con un raggio d’azione di 400 Km e i suoi SS-N-12 Sandbox, la nave più potente mai realizzata dai russi è in grado di creare una barriera difensiva verso tutta l’area a sud della Turchia dove si ergono le basi americane.

A supportare la Moskva i russi hanno dispiegato i sistemi di difesa anti-missile S-300 e S-400 nella base di Hmeymim, cosa che ha suscitato le preoccupazioni dell’ambasciata statunitense, del resto il loro raggio d’azione copre tutta la Siria; se ne deduce che le forze NATO dovranno chiedere autorizzazione alla Russia per il sorvolo dei cieli siriani .

L’abbattimento del velivolo militare russo, è diventato quindi il valido pretesto di Putin per poter controllare tale spazio aereo, in oltre lo Stato Maggiore ha disposto che tutti gli aerei d’attacco saranno scortati da caccia da combattimento, si parla dei nuovi SU-34 (la Russia ne avrebbe 8 nuovi) e dei SU-27, abili anche nei bombardamenti di precisione. Ad oggi la Russia sta effettuando dalle 49 alle 96 missioni aeree al giorno, ed aerei come il Tu-95 e il più recente Tu-160 sono in grado, vista l’ ampia autonomia e capacità di carico, di effettuare operazioni sulla Siria partendo dalle basi in Russia; in questo modo sarebbe risolto il problema della mancanza di spazio nella base aerea di Latkia. Si tratta di uno schieramento di forze aeree di una potenza mai vista fino ad ora.

L’espansione dell’ISIS è una minaccia anche per la Giordania, e difatti il giorno dell’abbattimento del SU-24 il re Giordano Abdullah (monarca hashemita) si è incontrato a Sochi con Vladimir Putin, il premier russo ha sottolineato che il SU-24 attaccava terroristi che potrebbero infiltrarsi in Russia. La Giordania, nonostante abbia retto alla primavera araba, avrebbe seri problemi interni dettati da una forte apologia tra la popolazione verso lo Stato Islamico. L’uccisione del pilota giordano da parte dell’ISIS ha suscitato la rappresaglia dello stato Giordano (prima limitato a fornire supporto logistico alle truppe U.S.A.) che è arrivato a distruggere il 20% delle capacità belliche dei terroristi.

In merito a scontri nei cieli siriani (dog-fight), emblematico è stato il caso recente dei 6 caccia multiruolo russi SU-30SM che il 2 ottobre hanno messo in fuga 4 caccia israeliani F-15 al largo delle coste siriane, area spesso attraversata dai velivoli con la stella di David, gli israeliani hanno invertito la rotta entrando in Libano, dove le Forze Armate Libanesi li hanno identificati come “velivoli nemici”. Fonti libanesi dichiarano che i 4 F-15 stavano spiando le basi russe di Tartous e Latakia per scoprire se fossero fondate le teorie in merito al trasferimento di armi da parte dei russi nei confronti delle milizie di Hezbollah. L’incidente ha irritato gli israeliani, Mosca ha controbattuto chiedendo spiegazioni in merito alla presenza dei loro McDonnell Douglas sullo spazio aereo Siriano. Dopo l’accaduto c’è stato un incontro tra Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin, forse su come gestire i movimenti nei cieli siriani. Sicuramente l’episodio dimostra come tale spazio aereo sia controllato dai russi ponendo la parola fine alle incursioni aeree israeliane in Siria. Duro colpo per Israele che supporta da tempo l’ISIS, dando copertura militare tramite la sua aereonautica e tramite i suoi elicotteri (ed ospedali) per i terroristi feriti.

Ricordiamo anche lo scandalo del Colonnello Yusi Oulen Shahak, della brigata Golani, catturato in Irak mentre era al comando di un plotone dei takfiri dell’ ISIS.

Gli interessi della NATO manovrano lo stato turco, il quale stando sotto il cappello dell’Occidente vorrebbe ambire ai propri interessi. La Turchia, governata oramai da una sorta di élite militare più o meno invisibile, ha nelle sue ambizioni la “ricostituzione dell’Impero Ottomano” e in questo l’ enorme area centroasiatica popolata da cittadinanze turcofone, fino ad arrivare alla Mongolia, rappresenta una realtà interessante, se non certo per fini di conquista territoriale, quanto meno per gettare una egemonia a carattere economico, la Siria e la Russia (supportate dall’Iran) sono senz’altro un ostacolo a tale espansione; proprio come i curdi che pur combattendo il Califfato sono vittime degli attacchi turchi.

Mosca di conseguenza sta varando misure restrittive nei confronti di Ankara, dalle raccomandazioni ai cittadini russi di evitare lo stato turco per i pericoli legati al terrorismo, al fermo di 50 imprenditori turchi avvenuto a Krasnodar con l’accusa di avere mentito sulle ragioni della loro presenza in Russia.

Bilal Erdogan, figlio di Recep Tayyip Erdogan, è proprietario della compagnia di trasporti marittimi Bmz Ltd che trasporterebbe dai porti di Ceyhan (Turchia) e Beirut (Libano) nei Paesi Orientali soprattutto in Giappone il petrolio prelevato dall’ISIS in Irak e Siria (come confermato da Rossiyskaya Gazeta). Nel Governo turco sono in molti a trarre beneficio da questo traffico illegale di milioni di dollari, ed è per questo che la Turchia non lo blocca, anzi lo difende come avvenuto durante l’ abbattimento del SU-24M russo, impegnato in quei massicci bombardamenti aereo-navali che avrebbero distrutto 520 camion-cisterna.

Recep Erdogan chiaramente protegge il figlio definendo, “lecito” tale contrabbando, che coinvolgerebbe anche altri familiari e addirittura riceverebbe fondi pubblici e finanziamenti da banche turche, come sostenuto da Gürsel Tekin esponente del partito turco di opposizione CHP.

In oltre Summeyye Erdogan figlia di Recep gestisce un proprio ospedale da campo, sul confine turco-siriano, atto a prestare cure mediche ai jihadisti feriti in Siria.

Un rapporto dell’ intelligence inglese dimostrava rapporti tra ufficiali turchi e ISIS, del resto la Turchia ha sempre permesso il rifornimento di armi ai terroristi in Siria. I servizi segreti turchi (MIT) all’ inizio del 2014 avrebbero perfino bloccato uno di questi carichi, ma il Governo Turco gli avrebbe dato l’ ordine di lasciarli proseguire, tale appoggio è stato confermato anche da un portavoce dell’Ypg (truppe curdo-siriane).

La Turchia riceve dall’Unione Europea grosse quantità di danaro per affrontare l’incessante problema dei profughi siriani, ma i negoziati di adesione alla UE dal 2005 ad oggi hanno permesso alla Turchia di ricevere qualcosa come 9 miliardi di euro. A questo punto si potrebbe sostenere che l’Europa indirettamente finanzi l’ISIS, possibile che nessuno voglia porre un controllo al movimento di questi capitali? La Turchia in cambio non da niente, anzi ha aumentato i dazi doganali, ha imposto blocchi alle merci europee violando gli accordi doganali, e per di più è aumentato il flusso migratorio in maniera sospetta.

L’atteggiamento turco di lotta a fianco della coalizione antiterrorismo a guida USA e in parallelo di cooperazione con il Daesh, (come sostenuto dall’analista russo Vladimir Evseyev) è del tutto subdolo. Il politologo siriano Ali Salem al-Assad è certo che i terroristi in caso di difficoltà riparino in Turchia con l’appoggio delle guardie di frontiera, ed ecco uno dei motivi per il quale gli aerei russi continuano a sorvolare il Nord della Siria, come per il SU-24M abbattuto.

Il Maggior Generale Qasim Sulaymani comandate della Forza al-Quds dell’ IRGC (Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) descrive il SIIL come un’ operazione dei Stati Uniti per fare pressione sulla comunità musulmana. Versione sostenuta anche da Edward Snowden secondo il quale C.I.A., MI6 e Mossad avrebbero collaborato per la creazione dello Stato Islamico in Irak e nel Levante, soluzione atta a difendere Israele (operazione “nido di calabroni”). Questo “nemico” che hanno creato è ora costituito da circa 60 organizzazioni differenti diramate in oltre 50 paesi; interessante notare come Israele situata al centro dei paesi coinvolti è l’ unico stato non colpito da attacchi da parte dell’ISIS (taglieresti la gola a chi ti finanzia?).

Dopo l’abbattimento del Sukhoi russo Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato pieno supporto ad Ankara, si paventa quindi il rischio del coinvolgimento di tutta la forza NATO, non a caso la Turchia ha cercato di bloccare gli avvicinamenti di Francia e Germania verso la Russia.

Senza dubbio questo atto bellico contro la forza aerea russa ha dato uno scossone importante, laddove sempre più analisti temono un ampliamento del conflitto, anche sotto il profilo terroristico, da alcuni già paragonato a una Terza Guerra Mondiale.