L’INCONSCIO COLLETTIVO TRA GENDER E UNIONI CIVILI

di Simone Boscali

Per iniziare questa riflessione occorre ricordare una mia personale esperienza educativa molto importante.
Sono cresciuto in una famiglia in cui in tempi decisamente non sospetti – quando parole come “culo” e “ricchione” si potevano dire senza essere messi alla forca, per quanto brutto fosse – sono stato educato al pieno rispetto delle persone omosessuali. Cosa che può apparire strana soprattutto per i tempi cui mi riferisco, è stato soprattutto il mio amato padre a educarmi a questa forma di rispetto sottolineando sempre come queste persone non facessero nulla di male e non togliessero niente a nessuno nel vivere la propria specificità.
A livello personale credo di aver iniziato a realizzare pienamente questo rispetto, sganciandomi quindi dalla semplice emulazione paterna, quando nel 1991 è morto Freddie Mercury, il cantante dei Queen, un gruppo che mio padre apprezzava molto. Proprio in quella circostanza ho iniziato ad ascoltare con passione le loro canzoni e a diventarne appassionato a soli dieci anni. Inizialmente opponevo ancora una certa resistenza all’idea che “Freddie” fosse gay e ingenuamente sottolineavo al mio babbo che in certi spezzoni di video o documentari su di lui avevo visto l’artista baciare qualche donna: “Visto papà? Non è culo! Ha baciato una donna”. Ma la mia ingenuità di ragazzetto di dieci anni non poteva nascondere la realtà e alla fine il mio orgoglio maschile ha dovuto far spazio all’idea che il mio cantante preferito di allora (oltre che morto…) fosse gay. Può sembrare un passaggio banalissimo, ma nella mia mente adolescenziale è stato come spalancare una finestra. Se un omosessuale poteva creare delle canzoni così belle che ascoltavo senza sosta allora la saggezza proletaria di mio padre aveva ragione: gli omosessuali erano e sono persone da rispettare perché non facevano nulla di male e non toglievano niente a nessuno. Oggi aggiungerei che erano e sono persone, punto. E devono poter vivere la propria vita, intesa anche come vita di coppia con tutto quello che ne consegue a livello normativo, mentre la cara e vecchia educazione civica (che d’ora in avanti vorrei opporre all’ideologia razzista del gender) deve necessariamente tener conto di ogni personalità ed orientamento sessuale e sentimentale nell’educare i ragazzi.

Con questo sottofondo educativo sono cresciuto senza troppa sintonia con la maggior parte dei miei coetanei ma ho saputo accogliere il valore aggiunto della specificità che persone diverse – termine ormai bandito e condannato dal sistema perché vi si accosta un valore discriminatorio quando in realtà è solo una constatazione, diverso nei contenuti, uguale nella dignità – sapevano dare alla comunità. Ho quindi interiorizzato il “mito” dell’omosessuale che solidarizzava coi problemi femminili (per cui l’amico gay era la persona migliore con cui far sfogare la morosa dopo un litigio) e che si prestava generosamente a lavori ad alto valore sociale, come l’insegnamento, l’assistenza alle persone, la cura dell’arte. Un’idea forse un po’ limitante, stereotipa e “eterosessuale” dell’omosessualità, ma un’idea che comunque, nessuno lo può negare, funziona. Funziona perché, come detto poco sopra, costituisce un valore aggiunto, permette a un gruppo di persone, lo ribadisco, diverse – e ribadisco anche che “diverse” non vuol dire “inferiori” – di eccellere contribuendo allo stesso tempo alla crescita e alla prosperità della comunità.

Ma negli ultimi anni questa mia visione, questa mia simpatia verso quella parte di società è andata cambiando. E significativamente anche il mio papà, che non ha mutato di uno spillo le sue posizioni di venticinque anni fa, è disorientato (non oso dire contrariato perché non posso parlare in sua vece) dalla piega che gli eventi hanno preso.
Andando oltre tutte le considerazioni, comunque validissime, che si possono fare per smontare pezzo per pezzo le richieste dei movimenti LGBTI, c’è qualcosa di profondamente distorto nel profondo di queste pretese e, per la prima volta, oserei dire qualcosa di innaturale.
Quando gli operai hanno scioperato nel corso dei decenni lo hanno fatto per migliorare la propria situazione, per rivendicare salari, diritti, condizioni di lavoro migliori, ma non hanno mai messo in dubbio la propria specificità. Erano, e sono, operai che vogliono essere riconosciuti per quello che sono, non scioperano e non protestano per voler essere qualcosa che non sono, men che meno per essere i padroni.
Le richieste dei movimenti LGBTI sono invece profondamente e innaturalmente distanti da questa prospettiva ed è per questo che non ho per esse alcuna simpatia. Se l’operaio lotta per poter essere un operaio migliore, l’omosessuale non lotta assolutamente per essere un omosessuale migliore. Questi gruppi non chiedono maggior riconoscimento e dignità per la propria specificità, ma chiedono di poter essere quello che non sono, ossia parodie di eterosessuali, vedendosi attribuiti dei diritti giuridici (come la genitorialità) i cui doveri corrispondenti essi non possono onorare a meno di introdurre nella società artifici che non solo sono a propria volta giuridici (l’adozione del figliastro da parte del non-padre o della non-madre) ma anche scientifici ed eugenetici (ad esempio l’utero in affitto).

Non sono un grande amante della psicanalisi, una disciplina che da troppo tempo ha abbandonato la strada della ricerca scientifica per limitarsi ad essere a posteriori il puntello delle ideologie politiche, eppure faccio fatica a interpetare questo deviazionismo dei gruppi LGBTI senza considerare proprio qualche base di uno dei pochissimi psicanalisti di spessore e che, combinazione, oggi è messo al bando, Karl Gustav Jung e la sua scoperta dell’inconscio collettivo.

Quando una diversità è accettata essa viene manifestata senza problemi.
E proprio oggi che il mondo era decisamente pronto, dopo secoli di discriminazioni, ad accogliere e valorizzare la comunità omosessuale per il contributo che può dare, ecco che questa apparentemente impazzisce iniziando a volersi imporre per tutt’altro. E questo è avvenuto perché il venire allo scoperto delle persone gay non ha solo dato loro il coraggio di rivendicare dei diritti legittimi ma a molti di loro (non tutti e poi vedremo perché) anche di dire, per la prima volta e facendosi reciprocamente forza, di riconoscere nel proprio inconscio collettivo junghiano il disagio della propria condizione, una condizione evidentemente per nulla accettata in barba a ogni ostentazione e apparenza.
Quando si realizza la propria diversità ma non la si accetta l’unica reazione che una mente non serena sa produrre è l’imposizione violenta di un livellamento a tutto ciò che sta fuori da sé, ed ecco perché oggi gran parte del mondo LGBTI pretende non tanto le unioni civili, ma una loro equiparazione al matrimonio e la possibilità, attraverso artifici, di essere genitori. E’ una maschera, avrebbe detto Jung, col quale l’inconscio collettivo di queste persone nasconde il disagio e la persona stessa vuole sentirsi normale perché in realtà non è così che si percepisce. Avere la possibilità di fare quello che fanno le coppie eterosessuali, sposarsi e fare figli, è un modo potente per non sentirsi diversi nel momento in cui la diversità non è accettata mentre l’ideologia gender con la sua pretesa di abbattere la naturale dicotomia maschio-femmina è solo un triste occultamento di una realtà che non si vuole accettare perché in quella dicotomia, magari, ci si sente stretti per un proprio vissuto e non riuscendo a venirne fuori si vuole imporre questo disagio a tutti gli altri.

Ma non tutti i gay e le lesbiche si sono prestati a questa sciocchezza colossale. Ve ne sono alcuni e provenienti da diverse opinioni (da Giorgio Ponte ad Alfonso Signorini) che non hanno accettato di voler piallare la dicotomia tra i sessi e che ritengono, forse perché anche loro vengono da un padre e una madre, che un bambino come condizione non sufficiente ma necessaria a un corretto sviluppo, debba avere due genitori di sessi diversi. E sembrano essere, fin dai toni usati e dalle argomentazioni proposte, persone serene, a differenza di gran parte del mondo LGBTI, persone che hanno accettato la propria specificità (e perché non dovrebbero?) e che non sentono il bisogno di sbattere in faccia al mondo alcuna rabbia. Non occorre un esegeta per sapere cosa oggi avrebbe detto il grande Pier Paolo Pasolini.
Anche nell’età classica, quando l’omosessualità era vissuta pubblicamente o era addirittura maggioritaria presso le élite, nessuno si era mai sognato di ridicolizzare la famiglia proponendone una grottesca parodia. Alcibiade ad Atene, guida politica della più grande superpotenza dell’epoca, era amante di Socrate e il loro legame era tranquillamente espresso in simposi in cui gli invitati erano omosesseuali e bisessuali della classe dirigente, ma nemmeno tutti costoro dall’alto della propria posizione hanno mai pensato di scardinare il corretto ordine delle cose perché la loro condizione era vissuta serenamente, naturalmente. Platone, omosessuale e misogino, ha sempre riconosciuto il primato della famiglia composta da uomo e donna come prima comunità su cui deve appoggiarsi la polis.

Lo sforzo che le comunità LGBTI dovrebbero fare per riequilibrare non se stesse, ma quella società che stanno artificialmente dividendo col proprio atteggiamento distruttivo, è quello di usare il coraggio che sino ad oggi hanno mostrato non per chiedere il superfluo ma per guardarsi dentro e riconoscere che gay e lesbiche possono dare qualcosa di più alla comunità solo nel momento in cui riconoscono la propria diversità anziché esercitare una violenza che è prima di tutto su se stesse.
Gli omosessuali appiattendosi per un capriccio inconscio su ciò che non sono e che non potranno mai essere – e non sarà l’ideologia gender a nasconderlo perché sappiamo come vanno a finire le cose quando si impongono le leggi razziali – non aggiungeranno mai nulla ma si limiteranno a togliere: agli altri come a se stessi.

OGGI L’ITALIA E’ GONDOR. OGGI GONDOR E’ L’ITALIA

di Simone Boscali

Molti lettori di questo articolo sicuramente conoscono il mondo creato da J.R.R. Tolkien ne Il Signore degli anelli e qualcun altro ne conoscerà almeno la pur non fedelissima versione cinematografica di Peter Jackson.
Come tutte le grandi opere anche questo racconto epico contiene significati esoterici o profetici molto profondi e attuali anche se non ci è dato sapere perché, se per un ingresso iniziatico dello stesso autore a importanti livelli di Coscienza oppure semplicemente perché la sua opera è sfuggita al controllo dello scrittore producendo significati che nemmeno Tolkien si sarebbe immaginato.
Ad ogni modo il regno di Gondor costituisce il cuore geografico e politico del mondo fantastico di Tolkien, la Terra di Mezzo, intorno a cui ruota il ritorno all’antico ordine tradizionale e comunitario contro il nuovo ordine materialista, modernista e, diciamolo pure, industrialista del malvagio signore Sauron e del suo nero dominio di orchi, Mordor, l’anti-Gondor.
Ma a dispetto del suo retaggio prestigioso e dell’importante ruolo di cui è rivestita, Gondor è un regno in crisi. E’ un regno senza sovrano, retto da una dinastia di sovrintendenti, in attesa del ritorno di un re che ripristini i valori, i principi e il ruolo della nazione. Gondor è anche un paese in profonda crisi demografica, in cui da tempo si fanno pochi figli a partire dalle classi nobili e il popolo preferisce vivere ricordando i fasti del passato anziché lavorare per rinnovarli.
Ma la crisi di questa nazione non nasce per caso. Le ragioni di questa sofferenza trascendono la materia e affondano le proprie radici in una sorta di legge del contrappasso, del karma, dal momento che l’antico re di Gondor, Isildur, si è lasciato tentare dal potere dell’Anello, vale a dire dai disvalori della modernità, dell’individualismo, della potenza e della produzione, incarnando quel Nemico che lui e il suo regno avrebbero dovuto combattere. Per aver rinunciato al proprio naturale ruolo di protettore della Luce nel mondo, Gondor è finito per secoli nell’Oscurità.
Per spazzare via ogni brace di speranza e forza ancora accesa sotto le ceneri della secolare decadenza, Mordor, al culmine della sua guerra generale di sottomissione per imporre il proprio nuovo ordine, decide di colpire con il massimo della violenza Gondor, l’ultimo riferimento intorno al quale gli uomini avrebbero potuto riorganizzarsi e sperare di avere un futuro.
Ma non è solo dal Male vero e proprio che Gondor deve difendersi ma anche da altre forze che la combattono contro il proprio stesso interesse e nell’ingenua illusione di emanciparsi e di poter condividere il potere con Mordor. Gli Esterling e gli Haradrim, pur essendo umani, si alleano con Mordor contro Gondor, ma non per malvagità. Ciò che devia queste persone è la mancanza di coscienza, di conoscenza, consapevolezza. Sono stati ingannati, manipolati dalla propaganda e dalle parole velenose di Sauron e non sanno in fondo di essere dalla parte sbagliata e non immaginano di essere solo degli strumenti che verranno rottamati a cose fatte senza alcuna gratitudine da parte dell’Oscuro Signore.
Certamente mai Tolkien avrebbe pensato che i panni della sua Gondor sarebbero stati indossati proprio dalla nostra Italia, ma la situazione simbolica che ha descritto, e che oggi si ripete così fedelmente, rappresenta una profezia vera e proprio e non un semplice averci preso per caso.
Come Gondor l’Italia è un paese dall’antichità gloriosa ma proprio al culmine del suo splendore ha fallito nella missione civilizzatrice sotto l’egida di Roma iniziando a incarnare i disvalori che avrebbe dovuto combattere come il mercantilismo, l’individualismo e l’imperialismo fine a se stesso. Per la legge del karma, una nazione che rinunci al proprio compito civilizzatore è condannata a subire per secoli l’inciviltà altrui, cosa troppo evidente nel nostro paese oggi.
Come Gondor l’Italia è da troppo tempo un paese senza un re, senza una classe dirigente saggia, equilibrata e che sappia agire in modo disinteressato per il bene comune.
Come Gondor l’Italia, di fronte alle umiliazioni e ai torti subiti, cerca conforto nel ricordo dell’antica gloria o nell’ammirazione che ancora oggi milioni di persone nel mondo nutrono per le bellezze e la cultura del nostro paese, senza che gli italiani siano però capaci di tornare a promuovere nel mondo questo immenso bagaglio di illuminazione e meno ancora di farlo proprio, di introiettarlo e incarnarlo nel proprio vivere quotidiano e comunitario.
Come Gondor l’Italia è un paese in calo demografico e incapace di provvedere alle proprie esigenze al punto da dover appaltare a capitali e aziende straniere produzioni e servizi e affidandosi a masse di immigrati disperati per quei lavori che una popolazione buontempona non vuole più fare o non può più fare per la semplice mancanza demografica di lavoratori.
Ma l’Italia è un paese diverso e ancora, sotto le ceneri, arde qualche brace che potrebbe rinnovare un fuoco ben più potente e invertire il corso delle cose, bloccare l’imposizione del nuovo ordine mondiale sull’antico ordine della comunità e della tradizione.
Novella Gondor, l’Italia è finita nel mirino di Mordor, del sistema capitalista, perché a differenza degli altri paesi progrediti è ancora affezionata, non importa se con sincerità o in qualche caso per ipocrisia, alle famiglie in cui vi sono il padre, la madre, i figli, mentre chi vuol vivere una propria vita di coppia diversa lo può fare ma senza pretendere di dissacrare impunemente, scimmiottandola volgarmente, la famiglia vera.
L’Italia, la nuova Gondor, è finita nel mirino della Mordor capitalista perché a differenza dei paesi evoluti del resto d’Europa i propri cittadini preferiscono ancora commerciare maneggiando il buon vecchio denaro sonante. Un denaro a monte infettato da un’emissione che genera debito pubblico, certo, ma che ancora, come insegnano le storiche crisi bancarie e finanziarie dal ’29 alla Grecia, costituisce l’ultimo strumento di controllo del cittadino sul sistema monetario e da la percezione della propria capacità di ottenere beni e servizi in cambio del denaro guadagnato. Tutto questo senza che qualche Occhio (quello di Sauron, nel mondo di Tolkien, o quello onniveggente della massoneria nel nostro sistema) pretenda di scrutare fin dentro le nostre tasche per “spegnerci” elettronicamente al momento opportuno, quando diventiamo troppo scomodi.
L’Italia viene investita dalle nere orde di Mordor perché a differenza degli altri paesi moderni avrà sì un debito pubblico immenso, ma le sue famiglie all’antica possiedono un risparmio privato che è oltre quattro volte tanto e che fa impallidire la capacità di risparmio e di affrontare il futuro di altri stati decantati e presi come modello. Un tesoro enorme che le banche e le grandi aziende (per motivi di controllo le prime, a garanzia degli investimenti pubblici le seconde) non possono lasciare sotto l’esclusivo controllo dei loro legittimi possessori.
E ancora, l’Italia è attraversata in lungo e in largo da chiese stupende ma anche dagli antichi templi pagani di Roma e della Magna Grecia. Magnifici edifici che sono lì a ricordare ciò che Mordor vorrebbe farci dimenticare, ossia che l’uomo non coincide con la sua scorza corporea ma ha una natura diversa che trascende la materia e qui in Italia questa tensione, questa ricerca di spiritualità, è sempre stata fortissima.
Come Gondor, l’Italia non deve affrontare solo l’urto frontale con le orde di orchi di Mordor. Ma anche la minaccia di altre forze, spesso interne, che per disinformazione e manipolazione si sono unite al nemico combattendo contro il proprio stesso interesse una battaglia altrui. Il pensiero non può non correre a tutti coloro che, in buona fede ma ingenuamente, aderiscono alle pressioni mediatiche ed economiche esterne per rendere prioritario lo smantellamento della sovranità nazionale (quel che ne resta) a favore del protettorato europeo piuttosto che la distruzione della famiglia e l’estensione dei dispositivi di controllo personali.
All’inizio dell’assalto di Mordor alle bianche mura di Minas Tirith, la capitale di Gondor, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sopravvivenza di quest’ultima. Uno sterminato, nero esercito di orchi riempiva la piana del Pelennor di fronte alla città, presidiata da pochi e disorientati difensori senza una guida valida.
Il destino dell’ultima, tenue fiaccola di civiltà sembrava segnato.
Ma la fine della battaglia avrebbe narrato un esito diverso e così sarà per l’Italia, la nostra amata patria.
Perché mentre orde senza fine di orchi (orde orcobaleno?) davano l’assalto sentendosi la vittoria già in tasca, il Bene stava preparando la contromossa. I Raminghi, che per secoli avevano custodito gli antichi valori e la forza, a dispetto dell’esilio e della condanna sofferti, si sono preparati e radunati per combattere proprio come oggi persone e gruppi in tutta Italia, attaccati e censurati, si organizzano per farsi trovare pronti all’appuntamento con la storia. I cavalieri di Rohan, che il Nemico non sapeva essere ancora in grado di combattere, stavano giungendo in soccorso come oggi altri paesi al mondo stanno combattendo il sistema con le armi e sono pronti a schierarsi con l’Italia.
Come gli orchi di Mordor oggi i più, completamente privi di coscienza e obbedienti solo alla voce dell’Anello, dell’unico sistema di ingiustizia che sono in grado di concepire, riderebbero se gli si rivelasse che la loro sconfitta è prossima perché ai loro occhi non vi è alcun segno immediatamente visibile.
Il compito dei Raminghi oggi è quello di cucire i confusi segnali di risveglio di questa nostra terra tanto disprezzata e sbeffeggiata per quella sua arretratezza che è invece la sua forza, una terra che per esprimere il meglio delle proprie potenzialità, che risalgono all’alba dei tempi, non ha bisogno di essere rinnegata e derisa, ma amata, come gli ultimi difensori hanno amato Gondor nell’ora più buia.
Allora coloro che sostengono il Bene sorprenderanno se stessi e potranno riscrivere queste parole, non più fantastiche, ma storiche.

Erano stati uccisi tutti, eccetto quelli fuggiti in cerca della morte, o destinati ad affogare nella rossa schiuma del Fiume. Ben pochi tornarono a Morgul o a Mordor, e nella terra degli Haradrim non giunse che una lontana storia: l’eco della collera e del terrore di Gondor

ZALONE

di Simone Boscali

Negli ultimi tempi ho cambiato il mio approccio verso le persone, quella stragrande maggioranza del genere umano che con tanta leggerezza simpatizza per i propri carcerieri ed è ansiosa di sacrificare se stessa per morire in guerre altrui.
Non mi chiedo più perché in giro ci siano tante persone stupide, perché questo è un approccio dettato da rabbia e incapacità di comprensione. Oggi mi chiedo invece come mai ci siano tante persone che pur avendo assoluta intelligenza dicono, fanno o sostengono cose stupide. Se ciò che muove una vera rivoluzione non può che essere l’Amore disinteressato, allora anche il nostro approccio all’altro deve essere in primo luogo amorevole e non dispregiativo.
Oggi quindi tante persone intelligenti si interrogano, nel momento in cui sviluppano interessi intellettuali e culturali a qualsiasi livello, su come sia stato possibile che nel passato milioni di persone, interi popoli e intere nazioni, abbiano seguito un capo sulla via di una rovina folle e degenerata, come sia possibile che non si siano accorti dell’errore clamoroso che stavano facendo, dei crimini di cui si stavano macchiando, degli inganni a cui erano sottoposti e perché infine non abbiano reagito nel nome della libertà e della democrazia.
Ci sarebbe molto da discutere sui fatti che a questo proposito studiamo, al punto che forse non ne vale nemmeno più la pena.
Quello che conta davvero è che le persone in gamba che si pongono questa domanda, comunque meritoria, commettono a propria volta un errore clamoroso, forse ancora peggiore rispetto alle persone del passato perché non fanno tesoro delle esperienze studiate. Vale a dire non capiscono che essi stanno riproducendo la stessa medesima sottomissione a un capo, a un sistema degenerato e liberticida che ha la sua propaganda di regime, i suoi campi di sterminio, le sue guerre di conquista, i suoi capri espiatori artefatti, i suoi nemici immaginari e propagandistici, i suoi rituali grotteschi di dimostrazione di fedeltà dogmatica, le sue squadre di picchiatori da strada e così via.
Persone di indubbia intelligenza e capacità accusano altri di una colpa che essi riproducono in proporzioni ben più gravi: perché?
Senza dimenticare che in ultima battuta sono sempre le singole persone e le comunità ad avere la responsabilità di credere acriticamente a ciò che viene loro propinato o al contrario di ponderare per bene le informazioni, oggi, come cento o mille anni fa, è sempre la voce di chi è al potere che modella una realtà propagandistica destinata a ingannare e sottomettere milioni di persone in tutto l’occidente capitalista.
In sostanza il motivo per cui anche oggi delle persone intelligenti fanno qualcosa di stupido è la disinformazione. Una disinformazione dalla quale è difficile difendersi proprio perché, alla luce dei modi espliciti con la quale si è presentata in passato, giunge oggi sotto le mentite spoglie di momenti culturali o ricreativi innocui e che invece hanno preso il posto, potenziandosi, dei cinegiornali, delle parate, delle notizie fabbricate da uffici stampa di regime.
Oggi in pochi, persino tra le persone più preparate che stanno in guardia nel leggere articoli e libri, si aspettano di essere ingannati e inquadrati nel regime dalle battute di un comico, a suon di risate.
Hanno preso Orwell e lo hanno mascherato da Checco Zalone.
Non me ne vorrà il comico pugliese cui non si può negare una capacità di far ridere che di per sé sarebbe un vanto per il popolo italiano. Se non fosse che proprio questo popolo viene messo sotto attacco dalla comicità frizzante di Zalone e sono questa comicità, questo divertimento che accompagnandosi a messaggi liberticidi trasformano la libertà in qualcosa di noioso.
Nel suo ultimo film “Quo vado?” Checco Zalone deride il posto di lavoro fisso e così cavalca l’ideologia di un regime che, non volendo più offrire posti di lavoro stabili, impone un precariato sempre più diffuso a fini di controllo sociale.
Il posto fisso, appunto, tipicamente italiano, superato, passato, a differenza del tanto decantato modello nordico della “flessibilità”, una flessibilità che probabilmente viene spacciata come personale più ancora che lavorativa, perché l’italiano, nella sua legittima aspirazione al posto fisso, è anche “rigido”.
Una flessibilità che va oltre quindi e si estende anche alla famiglia. Perché gli italiani retrogradi e rigidi credono ancora nella famiglia con mamma, papà e figli mentre per i nordici tutto questo è superato. Da quelle parti una donna può avere tre matrimoni falliti alle spalle con altrettanti figli di religioni diverse avuti dai tre mariti e uno di questi si è modernamente risposato con un altro uomo.
Ma Zalone va oltre e, magari in buona fede (anche per lui vale il concetto di persona intelligente che fa inspiegabilmente cose stupide), ci mette anche una propaganda vaccinale per cui una bella punturina salva la vita dei neonati e non solo quando la verità è ben diversa, specialmente nel caso dei poveri bambini africani che in realtà sono vittime di malattie infettive per ragioni più incivili che non la penuria di farmaci.
Può un insospettabile film comico manipolare una mente più di una propaganda ufficiale e totalitarista? Nulla è meglio nascosto di ciò che è perfettamente in vista e nulla è più pericoloso di ciò che appare innocuo.
Addebitando a una pellicola una tale pericolosità diventa talmente facile essere derisi, essere presi per pazzi complottisti che molto probabilmente si ha fatto centro. Ed è anche molto facile associare un certo grado di positività a tutto ciò che viene trasmesso accompagnato a tanta allegria ed euforia, ridendo per esempio a squarciagola sulla modernità della “flessibilità” e sulla ridicolaggine del “posto fisso” all’italiana.
Questo film farà veramente ridere. Ma se, come si diceva, occorre capire perché persone intelligenti facciano spesso cose davvero stupide, servirà anche capire perché persone che ridono tanto si troveranno poi a piangere per quelle cose che sembravano tanto divertenti.
La comicità di Zalone godiamocela oggi, perché domani quelle cose, fuori dall’innocua cellulosa del film, non ci divertiranno più.