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Bolsonaro presidente, la guardia armata del liberismo in Brasile

di Simone Boscali

Jair Bolsonaro è il nuovo presidente del Brasile.
Indisciplinato paracadutista dell’esercito col grado di capitano, è un nostalgico del regime militare, è stato eletto come esponente di una destra liberista e demagogica.
Sostenitore della privatizzazione dei colossi Petrobras ed Eletrobras (equivalenti di Eni ed Enel) e di una generale deregolamentazione dell’economia, considera del tutto secondario il diritto del lavoro.
E’ favorevole alla conversione di aree della foresta amazzonica in zone coltivate e alla deforestazione per ampliare le estrazioni dal sottosuolo e per farlo ha già dichiarato che non avrà riguardo per gli indios nativi.
Sostiene che a parità di mansioni una donna dovrebbe guadagnare meno di un uomo.
Più di Berlusconi urla continuamente al pericolo comunista in totale assenza di comunismo in Brasile e nel mondo.
In tema di politica estera è decisamente allineato agli Stati Uniti e ha già reso omaggio a isra-hell in campagna elettorale dichiarando che farà chiudere l’ambasciata palestinese a Brasilia, non riconoscendo la Palestina come stato.
La sua impreparazione politica, a dispetto di una ventennale presenza al congresso come deputato professionista (non ha altre fonti di reddito), è imbarazzante tanto da non aver mai dato alcuna risposta concreta nelle sue apparizioni televisive se non “quando sarò presidente metterò dei ministri che ne sanno”. Fra questi ha più volte fatto il nome del finanziere Paulo Guedes, formatosi alla corte della scuola ultraliberista dei Chicago Boys.
Più e più volte ha rilanciato slogan militaristi e spacconi in merito alla lotta contro le bande armate che imperversano in ampie zone delle città brasiliane, senza mai elaborare strategie di contorno quali la soluzione dei disagi sociali e i collegamenti tra le bande medesime e i servizi americani cui sono legate per il traffico di droga esattamente come i cartelli colombiani.

Con un giustiziere così non serve criminalità…

PD, ECOGRAFIA DI UNA DITTATURA

di Simone Boscali

So che esordendo in questo modo rischio di violare il principio latino “excusatio non petita…”. Ma è
bene fugare ogni dubbio per mantenere la massima attendibilità sull’analisi che andiamo a fare.
Ricordiamo quindi che solo un malato di mente o uno sprovveduto di ingenuità abissale potrebbero
pensare che chi scrive abbia simpatie per la Lega Nord, per Forza Italia o, non sia mai, il Movimento
Cinque Stelle. Ma non è certo necessario essere un sostenitore di una qualunque altra forza politica
per capire, dati di fatto alla mano, che il Partito Democratico rappresenta oggi il peggior pericolo per
l’incolumità nazionale. Peggio, anche dal punto di vista storico, il PD è quanto di peggio sia mai stato
abortito dall’agone politico italiano – insieme ai Radicali – in tutta la storia unitaria del nostro paese.
E questo non è frutto del caso ma di una precisa strategia che va dalla genesi del partito sino alle sue
manifestazioni esteriori e ai modi di comunicare.
Esistono due motivi principali per cui possiamo affermare, in vista delle prossime elezioni del 4
marzo, che il PD sia la peggior forza cui dare il proprio voto.
Innanzi tutto, nessuna delle forze politiche in campo, nemmeno tra le minori e più originali, è stata
capace di proporre un programma realmente rivoluzionario o quantomeno ad alto impatto. Ma oltre
a questo fra quelle tradizionali nessuna è nemmeno in grado di proporre un progetto almeno sensato
di gestione ordinaria della cosa pubblica poiché tutte, da destra a sinistra, soffrono di lacune e
incoerenze tali da dimostrare la loro incapacità d’analisi. Nessuno è perfetto, insomma.
Solo che il Partito Democratico è andato ben oltre e, a differenza di Lega o Cinque Stelle, ha stilato
sì un programma organico e coerente ma ribaltando clamorosamente in un modo che va ben oltre
l’opinabile le necessità del paese e del popolo. Se negli altri partiti si possono trovare a macchia di
leopardo e slegati dal progetto generale alcuni singoli punti interessanti, il progetto del PD sembra
tutto organicamente studiato per fare del male alle singole persone e danneggiare l’Italia facendone
punto su punto il disinteresse conclamato: economia, banche, lavoro, immigrazione, sanità, politica
estera, tutto è all’insegna dell’anti-Italia e mirato al malessere degli italiani.
Ma c’è di più, e siamo al secondo motivo per cui il PD rappresenta la cloaca dell’intelligenza politica
italica.
L’esperienza insegna che una classe politica o un esecutivo, per quanto possano essere diretti da poteri
forti o poteri oscuri, sono sempre disinteressate alle sorti del popolo. Silvio Berlusconi ha governato
per esempio al solo scopo di trarre vantaggi personali dal suo ruolo politico. Il fatto che migliaia,
decine di migliaia di persone in tutta Italia abbiano sofferto per questa sua disonestà, perdendo lavoro
o salario, lo ha semplicemente lasciato indifferente. Così come indifferente lo ha lasciato chi, in
qualche modo, ha invece beneficiato del suo governo. Berlusconi ha perfettamente incarnato il
modello del politico che persegue un obiettivo individualista incurante delle sorti del popolo, fossero
anche positive per una parte di esso.
Il Partito Democratico e le sue drammatiche espressioni, da Renzi a Gentiloni, senza contare i satelliti
non propriamente PD quali Laura Boldrini, Beatrice Lorenzin ed Emma Bonino, hanno invece
governato e mirano a governare con un obiettivo ben diverso: ottenere coscientemente e precisamente
il male degli italiani. Il peggioramento delle condizioni di vita di questi ultimi, la loro sfiducia, il
senso di insicurezza, i problemi di salute indotti da difficoltà economiche e tagli ai servizi non sono,
nel caso del PD, le conseguenze accidentali di una politica maldestra. Sono esattamente ciò a cui il
PD mira per meri fini di controllo sociale.
Il Partito Democratico incarna, questo sì, una vera antipolitica, non nel senso comune di protesta o
malcontento contro la politica da parte del popolo, ma di antitesi, di contrapposizione palesata agli
interessi della polis.
Tale processo di antipolitica e quindi di ribaltamento della missione naturale di una forza partitica
prende corpo sin dalle espressioni esteriori adottate e dallo schema di comunicazione.
Sin dal nome, l’attributo che vi appare, democratico, rimanda a un’idea totalmente sovvertita dalla
prassi dal partito sin da quando è al governo. Dal tentativo di riforma costituzionale, alla propensione
ad agire tramite l’esecutivo a suon di decreti per arrivare alle direttive di partito imposte dall’alto ai
singoli parlamentari (tutto verificato) in modo che questi assecondassero le linee del governo (ma
l’Italia non è una repubblica parlamentare?), nella cultura del Partito Democratico il kràtos da tutti
può essere esercitato tranne che dal demos.
La campagna elettorale di questi giorni sta invece esasperando questa strategia di ribaltamento dei
significanti con una serie di manifesti elettorali nei cui slogan il PD è associato a un valore positivo,
spacciato appunto come pertinenza esclusiva del PD stesso quando la realtà sta diametralmente agli
antipodi. Il PD è con la scienza, il PD è con il lavoro, il PD è con i diritti, il PD è con la cultura.
Tutto drammaticamente falso, come dimostrano i provvedimenti presi in quest’ultima legislatura e
sostenuti proprio dal PD in primis, dal ddl vaccini, all’ideologia di genere inserita nei programmi
scolastici, dalla riforma del lavoro alla scuola-lavoro, dal salva-banche alle cessioni di sovranità
nazionale, tutto indica che il PD ha agito contro la scienza, contro il lavoro (e i lavoratori), contro la
cultura, contro i diritti sociali e politici.
Considerando i legami degli esponenti del Partito Democratico con la grande finanza (a partire a suo
tempo dalla famosa tessera numero uno di De Benedetti), col grande capitale e con la massoneria
sarebbe troppo facile inquadrare questa forza politica non come l’espressione di una precisa cultura
politica di una parte del popolo (come tutto sommato, continuano ad essere la maggior parte degli
altri partiti di destra e di sinistra) ma come una creazione a monte di detti poteri quale proprio
strumento di azione nelle istituzioni.
Ma c’è un passaggio che sta ancora più in alto e di tipo politico-filosofico che non si può tralasciare.
Il Partito Democratico rappresenta il traguardo finale di una parabola discendente che, partendo dal
Partito Comunista Italiano, è poi degradata attraverso il PDS, i DS arrivando infine al PD stesso.
Questa è però solo una mezza verità. L’altra metà sta nel fatto che, discendendo e degradando da
sinistra, questa parabola ha coinvolto anche il centro democristiano tradizionale del nostro paese.
Non si è trattata solo di un’operazione di trasformismo tipica della tradizione politica pasticciona
italiana, ma di qualcosa di più complesso e meditato dai poteri che stanno fuori dell’agone politico
ufficiale.
L’insolito connubio tra i nipotini dei comunisti e quelli dei democristiani ha avuto lo scopo di
eliminare i valori positivi di entrambi gli schieramenti d’origine, in particolare quei valori che, pur da
prospettive diverse, arginavano il dilagare del sistema capitalista.
Nella visione marxista infatti, detentrice del potere nel capitalismo è la borghesia la quale però è
vittima della sua stessa “coscienza infelice”, ossia la consapevolezza della borghesia della
contraddizione tra lo sfruttamento lavorativo da essa gestito con la promozione dei valori positivi ed
emancipativi di cui si vorrebbe allo stesso tempo portatrice. Ragion per cui la borghesia stessa
averebbe un giorno avuto secondo Marx un ruolo nella caduta del capitalismo.
La parabola che ha condotto al PD partendo dai due opposti comunista e democristiano ha proprio
avuto lo scopo di creare un soggetto politico rappresentativo di un capitalismo post borghese,
dominato dunque non più dalla borghesia ma dalle élite anonime antinazionali. A sinistra il PD non
conosce spazio per i valori del comunismo originale, barattati in cambio della distruzione della
borghesia. Analogamente al centro non concede spazi ai valori borghesi dell’emancipazione ma anche
della famiglia e della tradizione, arginati a favore della ricomposizione del conflitto di classe.
La coscienza infelice borghese, incoffessata speranza dei vecchi comunisti e scintilla liberatrice dei
vecchi democristiani, è stata spazzata via.
Proprio qui, nella distruzione stessa di una particolare coscienza, e quindi addirittura di una forma di
interiorità, sta in buona parte la pericolosità del PD. Un partito capace di sconvolgere, prima ancora
che la materialità delle classi sociali, addirittura la loro antropologia e quella dell’essere umano. Un
partito capace, con una comunicazione menzognera e nonostante tutto efficace (ma giornali e tv non
erano tutti di Berlusconi?) di ribaltare totalmente la realtà, di annullare i conflitti di classe basati su
diritti sociali e politici spostandoli su falsi conflitti per i diritti cosidetti civili e di coagulare quindi
determinate parti sociali scagliandole contro i propri interessi ma riuscendo bene ad apparire come
difensore degli stessi in visrtù delle proprie origini catto-comuniste, tanto lontane quanto tradite.

LA STRATEGIA DEL PALAZZO

di Simone Boscali

Il potere, quello vero, quello che sta sopra la politica, è simile a un palazzo ricco di corridoi e biforcazioni in cui gli uomini delle istituzioni si muovono alla ricerca della via per arrivare alla stanza più importante.
Ma… c’è ovviamente un grosso ma.
Corridoi, scale e saloni sono infatti interrotti da porte scorrevoli controllate a distanza.
Da chi? Da chi appunto detiene il potere vero, che risiede nella stanza principale del palazzo e che, fuor di metafora, non lavora nella politica ma fa parte dei centri studi e delle massonerie e si avvale di banche e multinazionali come leva per aprire e chiudere quelle porte scorrevoli a seconda dlla convenienza o meno a far passare gli ignari figuranti di turno.
Sfatiamo un mito. Essendo il politico una persona, nel senso cattivo del termine, egli non è necessariamente consapevole dei giochi e delle manovre in cui si ritroverà coinvolto. Sono convinto che molti politici, nella loro mediocrità, credano in buona fede che i vari poteri forti, i vari Bilderberg e Trilateral siano materia da complottismo, se non nella loro documentata esistenza, almeno nella loro effettiva capacità di incidere.
Nel condurre i propri programmi i governi rappresentano appunto quegli uomini che vagano nel palazzo alla ricerca della giusta via.
Quando operano, sia chiaro, di propria iniziativa, in senso favorevole agli oscuri manovratori, questi apriranno loro tutte le porte e li lasceranno proseguire, progredire, instillando nell’osservatore più attento l’ingannevole impressione che i governanti di turno siano manipolati in modo diretto, imboccati, cosa che più probabilmente si verifica solo in rare e necessarie circostanze (es. i governi tecnici) e favorendo in seguito l’errata interpretazione secondo la quale anche un sincero, seppur involontario, gesto di opposizione al sistema sarebbe sempre e comunque solo una farsa dettata dal sistema stesso. E porte aperte nel palazzo significa in concreto, disponibilità delle banche e dei fondi di investimento a concedere crediti illimitati, consenso degli organismi economici internazionali, favore dei mass media, finanziamenti ai partiti di maggioranza, messa in ombra dei poteri giudiziari e via discorrendo.
Diversamente i governi che, sempre di propria iniziativa, operano contro gli interessi di questi centri di potere, si ritroveranno tutte le porte chiuse. Ossia, cordoni chiusi da parte di ogni finanziatore o fondo, gogna mediatica, scheletri nell’armadio (chi non ne ha?) che vengono alla luce tutti insieme.
Questa modalità di “addomesticamento” della classe politica da parte di poteri reali è quella che spiega il perché spesso singoli uomini di governo o interi esecutivi appaiano contraddittori nel proprio agire. La loro apparente contraddizione non si spiegherebbe se fossero manipolati sempre e comunque in modalità “burattini” dai poteri oscuri. Essa risiede invece nel fatto che gli uomini di governo sono in realtà molto spesso “liberi” e quindi liberi sia di agire, inconsapevolmente, a favore delle élite, e liberi di agire, altrettanto inconsapevolmente, contro le stesse, finendo indirettamente per far mutare il clima mediatico-giudiziario intorno a loro, ora favorevole, ora no.
Due esempi tra l’altro contrapposti dal punto di vista della “geometria politica” possono chiarire queste dinamiche.
Silvio Berlusconi a partire dal 1992 ha beneficiato di una serie di porte aperte o spalancate nella propria ascesa politica e, a dispetto di difficoltà contingenti la sua figura e la sua “cultura” politica sono rimaste in auge a lungo. Fino a quando il clima intorno a lui è cambiato. Quella magistratura che per anni non è riuscita a sgambettarlo ha improvvisamente avuto mano libera nel togliere dal cilindro una serie di argomenti scomodi contro di lui godendo di una copertura mediatica assillante (paradossale se si pensa che Berlusconi era considerato il padrone dei media in Italia) mentre governi esteri, istituzioni internazionali e centri di potere privati quali quello di George Soros hanno iniziato a danneggiare apertamente l’Italia arrivando ad una guerra indiretta contro il nostro paese attaccando la Libia (impresa cui Berlusconi volle aderire in modo suicida sperando di riguadagnarsi il favore delle élite).
Cosa era capitato? Berlusconi nei suoi primi anni di governo (o di candidatura al governo) aveva cercato di portare avanti un certo tipo di programma ben visto dalle oligarchie quali la privatizzazione di settori pubblici importanti a favore di una concorrenza pubblico-privato anche in ambiti prima impensati (es. scuola e sanità), oltre ad un collocamento più marcatamente atlantico in politica estera: tutti punti sui quali la (giustamente) vituperata classe politica della Prima Repubblica aveva onestamente posto dei freni.
Ma quando Berlusconi ha voluto (o dovuto, per non perdere consensi e alleati) frenare a sua volta su queste cose, per esempio bloccando la svendita del patrimonio pubblico, aprendo a un’amicizia strutturale con la Federazione Russa e cercando la sovranità energetica dell’apparato industriale italiano (uno dei migliori al mondo, potenzialmente) grazie agli accordi con la stessa Russia e la Libia, le oligarchie che prima lo avevano sostenuto lo hanno dall’oggi al domani scaricato volgendo contro di lui tutte le proprie armi improprie sino a determinarne le dimissioni date praticamente in pubblico con la famiglia al completo (stranissima modalità di comunicazione peraltro).
Con la presidente del Brasile Dilma Roussef – donna di segno politico opposto rispetto a Berlusconi, a dimostrazione della versatilità dei poteri oscuri – è accaduto qualcosa di simile. Ha avuto piena possibilità di governare nel proprio primo mandato presidenziale perché, a sua volta, soddisfaceva le intenzioni delle oligarchie sul Brasile: privatizzazioni, atlantismo, introduzione dell’ideologia di genere nella società. Quando col passare del tempo Dilma, senza negare nulla di quanto fatto, ha avviato una serie di misure di segno opposto, quali la difesa delle risorse petrolifere nazionali o tutele a sostegno dei più poveri, le élite hanno deciso che il suo ruolo era esaurito. Non serviva più e un impedimento giudiziario di fondamento quasi nullo, amplificato da una poderosa campagna mediatica e da manifestazioni finanziate dagli Stati Uniti (nuovamente con un ruolo importante di Soros) è bastato a toglierla di mezzo a favore del massone dichiarato Michel Temer.
Naturalmente manipolare gli uomini politici del momento e chi, orbitando intorno a loro, possono determinarne la condotta, è facile se consideriamo la natura della maggior parte degli esseri umani.
Quasi tutti hanno infatti scheletri nell’armadio, guai giudiziari in sospeso, faccende private imbarazzanti, questioni personali potenzialmente esposte quali ad esempio l’incolumità della famiglia.
Fino a che un politico esegue, che lo sappia o no, l’agenda globalista, questi nodi restano latenti e così possono restare a vita. Il giorno in cui l’uomo di governo dovesse iniziare a essere scomodo inizierebbero anche i guai giudiziari, emergono le fotografie e i gossip scandalosi, le relazioni compromettenti. E se queste cose non bastassero a farlo desistere inizierebbero i primi incidenti d’auto (Nigel Farage), le prime aggressioni in pubblico (Berlusconi) e via discorrendo.
E se anche questo non fosse sufficiente e, peggio, il politico non fosse in effetti attaccabile per la mancanza di appigli giudiziari o scandalistici, l’oligarchia passerebbe senz’altro all’opzione estrema.
L’opzione John Fitzgerald Kennedy, l’opzione Jorg Haider…
Vi sono pochissime prove a sostegno della veridicità di questa strategia, la “strategia del palazzo”, in luogo del teatrino totale, con uomini politici manipolati in ogni minimo gesto sin anche nella finta contrapposizione al sistema, di stampo più squisitamente complottista.
Ma vi sono i risultati oggettivi da esaminare.
Noi non vediamo l’aria, ma quando le foglie si muovono sappiamo che c’è vento.

CORSI DI FORMAZIONE – ECONOMIA

Corsi di Formazione – Economia

Paolo Bogni, Simone Boscali, Luca D’Ambrogio
Il Corso consta di sette lezioni totali

Quinta lezione, docenti Luca d’Ambrogio e Paolo Bogni

“Ideologia capitalista”

Mercoledì 14 dicembre presso oratorio San Francesco
Ingresso via Pola, Zona Gleno – Bergamo, ore 20.45

Partecipazione libera e gratuita

A partire dal 25 maggio 2016 l’associazione Caposaldo ha organizzato e messo gratuitamente a disposizione corsi sui temi di proprio interesse politico e culturale. Il fine, ambizioso ma doveroso in quest’epoca di pensiero unico, è quello di formare un quadro di personalità e guide capaci di portare avanti la fuoriuscita dal sistema capitalista, dentro o fuori l’associazione. I corsi si estenderanno verosimilmente per un paio d’anni, ma si compongono di aree tematiche e lezioni indipendenti al fine di facilitarne la frequenza. La partecipazione è inoltre assolutamente gratuita in linea con lo spirito di servizio comunitario dell’associazione Caposaldo. Man mano saranno comunicate date, orari e ubicazioni delle varie lezioni con una comunicazione costante e aggiornata tramite i nostri canali informatici (sito, mailing list, pagina Facebook, etc.). I temi via via trattati saranno: economia e finanza; geoingegneria; manipolazione e disinformazione; alimentazione; tecnologia.

IL VIDEO DEL CORSO

CORSI DI FORMAZIONE – ECONOMIA

“ELEMENTI DI POLITICA MONETARIA – 2° PARTE”

Paolo Bogni, Simone Boscali, Luca D’Ambrogio

Il Corso consta di sette lezioni totali
Seconda lezione, docenti Simone Boscali, Paolo Bogni

“Elementi di politica monetaria
2a parte”

Mercoledì 26 ottobre presso oratorio San Francesco
Ingresso via Pola, Zona Gleno – Bergamo, ore 20.30

Partecipazione libera e gratuita
E’ gradita la prenotazione per un’adeguata preparazione degli spazi

 

A partire dal 25 maggio 2016 l’associazione Caposaldo ha organizzato e messo gratuitamente
a disposizione corsi sui temi di proprio interesse politico e culturale.
Il fine, ambizioso ma doveroso in quest’epoca di pensiero unico, è quello di formare un
quadro di personalità e guide capaci di portare avanti la fuoriuscita dal sistema capitalista,
dentro o fuori l’associazione.
I corsi si estenderanno verosimilmente per un paio d’anni, ma si compongono di aree
tematiche e lezioni indipendenti al fine di facilitarne la frequenza.
La partecipazione è inoltre assolutamente gratuita in linea con lo spirito di servizio
comunitario dell’associazione Caposaldo.
Man mano saranno comunicate date, orari e ubicazioni delle varie lezioni con una
comunicazione costante e aggiornata tramite i nostri canali informatici (sito, mailing list,
pagina Facebook, etc.).
I temi via via trattati saranno: economia e finanza; geoingegneria; manipolazione e
disinformazione; alimentazione; tecnologia.

Il video della conferenza:

E’ il liberalismo la rovina della famiglia, non lo Stato

di Simone Boscali

Poche settimane fa il sindaco leghista di Cascina (Pisa) Susanna Ceccardi si è guadagnata l’onore delle cronache per la sua determinazione a non celebrare le unioni civili tra coppie dello stesso sesso. Inoltre il primo cittadino ha deciso di creare una squadra di legali che si battesse per l’ottenimento di un’obiezione di coscienza per tutti quegli amminsitratori contrari a celebrare questo nuovo istituto.

Fin qui nulla di sbagliato, indipendentemente dalla qualità della signora Ceccardi che non possiamo giudicare come amminstratrice non avendo alcuna conoscenza a riguardo.

Ciò che invece disapproviamo e che ci fa preoccupare in vista dell’espansione della battaglia per la difesa dell’unicità della famiglia è il suo dubbio retroterra cultural-politico, un retroterra altamente discutibile e che sembra tutt’altro che estraneo tra i gruppi di ispirazione cattolica che condividono la posizione del sindaco di Cascina.

Susanna Ceccardi infatti – qui il suo pensiero originale – considera l’istituto delle unioni civili un’invasione di campo da parte dello Stato nella vita privata dei cittadini e delle coppie e considera questo modo di procedere “illiberale”.

Noi dissentiamo totalmente da questa visione delle cose e riteniamo che essa possa portare fuori strada il movimento pro-famiglia nel momento in cui esso fosse chiamato a una più generale lotta politica in cui inquadrare il discorso familiare in un progetto più complesso. Il nostro timore è che, a fronte di una comprensione corretta dell’attacco che viene portato alla famiglia, non vi sia però una comprensione più generale di come il sistema (capitalista) si muova.

Noi non crediamo assolutamente che il riconoscimento da parte dello Stato delle unioni civili alle persone dello stesso sesso rappresenti un’imposizione illiberale. Crediamo al contrario che esso sia un omaggio al liberalismo più sfrenato, quasi anarchico. Proprio in questo momento e su questo punto infatti lo Stato capitola dal proprio ruolo principale di custode, forte ma giusto, rappresentativo dei valori delle Comunità che costituiscono la Nazione per far spazio, in modo assolutamente liberale, a ogni concessione e disvalore, anche alle aperture più autodistruttive per la popolazione. A differenza di quanto sostiene la Ceccardi, non è che lo Stato voglia imporre illiberalmente ogni sorta di para-famiglia. Semmai esso rinuncia a tutelare l’unicità dell’istituto familiare avviando un processo culturale fuori dal controllo della politica. Lo Stato passa quindi dall’essere garante dei diritti e delle tradizioni comunitarie a semplice spettatore passivo e sottoscrittore di ogni istanza e capriccio individualista.

La Ceccardi sembra proprio scivolare verso l’individualismo e l’apoteosi dei diritti individuali a scapito di quelli comunitari (un individualismo e anticomunitarismo che il sindaco di Cascina non comprende essere proprio la causa di quel male cui lei vorrebbe opporsi) anche in diverse e successive prese di posizioni. Afferma “[…] una volta individuati i diritti che si ritiene un soggetto debba poter esercitare, quei diritti gli vadano riconosciuti in quanto individuo […]” culminando nel “La pensione uno la lasci a chi gli pare […]”. Non ci siamo proprio e tra l’altro il primo cittadino toscano dimostra di avere una scarsa cognizione dell’istituto familiare. I benefici economici concessi a un uomo e una donna, come detrazioni fiscali per familiari a carico, assegni familiari e, in ultimo, la reversibilità della pensione al coniuge, sono aiuti che lo Stato mette in campo per agevolare la coppia in uno dei suoi compiti: garantire la continuità della Comunità attraverso figli e nipoti. Ma lo Stato, per potersi impegnare in questo sforzo economico, ha bisogno di una garanzia da parte dell’uomo e della donna, di una promessa pubblica che è appunto il matrimonio.

Altro quindi che invasione di campo illiberale, altro che “stato guardone” che costringe il cittadino “a mettere per iscritto con chi va a letto”. Questi istituti, oltre che avere una derivazione spirituale sacrale, sono da un punto di vista giuridico la tutela che l’Io collettivo, lo Stato padre e non padrone, mette in campo a favore di tutti i cittadini.

La reversibilità della pensione, oggi quanto mai traballante, è qualcosa che non può essere assegnata a chi ci pare ma è il diritto che spetta a chi di fronte ai propri concittadini ha promesso solennemente di impegnarsi a rinnovare la propria Comunità e quindi per tale scopo deve essere fruita, passando quindi il beneficio economico dal coniuge scomparso all’altro in vita affinché come genitore, nonno o altro continui la propria opera sociale.

Del resto questa incongruenza interna a Susanna Ceccardi (criticare una specifica espressione del sistema senza aver compreso il sistema in sé) sembra essere figlia di una precisa fissazione del sindaco di Cascina. In un’altra occasione, quando ancora non era stata eletta a guidare il comune pisano, aveva espresso su Facebook la propria opinione sulla canzone “Imagine” di John Lennon disprezzandola come inno al comunismo. Di nuovo possiamo essere d’accordo con lei nel non apprezzare la canzone in sé, ma in base a contenuti del tutto diversi. “Imagine” è infatti un inno mondialista, un inno all’appiattimento e all’abbattimento di ogni specificità umana in un mondo in cui i significanti sono rovesciati secondo la tipica comunicazione massonica e a regnare è il capriccio individuale laddove non vi sia più nulla per cui valga la pena vivere. Questo, ahimé, non è comunismo ma al contrario l’apoteosi dell’ordine mondiale capitalista rispetto al quale il comunismo è stato nella peggiore delle ipotesi un complice che ne ha favorito l’ascesa, ma ideologicamente c’entra veramente poco.

Questo per dire come un’impreparazione politica sui contenuti di questo o quel sistema possa portare anche una persona di indubbie buone intenzioni come la Ceccardi a toppare clamorosamente l’analisi.

Non è certo contro il sindaco in questione che vogliamo infierire. In quanto leghista non possiamo certo considerarla una dei nostri, anzi, ma nemmeno è nostro interesse sparare a zero contro quello che per noi sarebbe un bersaglio di bassissima importanza. Ci interessa invece prendere a modello e analizzare la sua analisi di una questione delicata, un’analisi che non esitiamo a definire schizofrenica e dissociata a dispetto della conclusione condivisibile alla quale giunge in qualche modo (la possibilità di obiezione di coscienza di fronte alle unioni omosessuali).

Guai, diciamo, guai davvero a esprimersi a spezzoni sulle singole espressioni del sistema in cui viviamo senza averlo compreso. Peggio ancora guai a fare questo percependo il sistema come l’esatto contrario di ciò che è (nel caso specifico, illiberale quando è liberalissimo).

Così facendo il drammatico risultato che ci attenderebbe, se anche il sistema crollasse, sarebbe quello di riprodurlo, non avendo in sé la piena coscienza della natura di quanto avremmo appena sconfitto.

La pianificazione di un futuro migliore, di un’alternativa, di un cambiamento radicale passa necessariamente per una paradossale “pars destruens costruttiva”, una distruzione consapevole, una coscienza di cosa si sta distruggendo affinché non si ripresenti mai più, liberando così l’umanità da un fardello che non merita.